L’Oratorio di Santa Monica, a forma quadrangolare con copertura a vela, venne ornato intorno al 1430 da un ciclo di affreschi che, per consentire il risanamento delle strutture murarie, sono stati strappati dalle pareti circa venti anni fa. Soltanto nel 1995 sono tornati nella loro sede originaria, dopo essere stati consolidati e restaurati.
L’attribuzione di questi affascinanti affreschi costituisce ancora un intrigante problema per gli storici dell’arte. Pasquale Rotondi (1936) li assegnava ai fratelli Salimbeni, riferimento accolto da vari studiosi, finché lui stesso nel 1962 li attribuì al maestro della Beata Serafina notando un’affinità con lo stile di Alberto Alberti.
Fabio Bisogni, in un articolato intervento, notava invece delle analogie con le figurazioni di Giacomo di Nicola da Recanati Montepulciano, riferimenti accolti anche da Andrea de Marchi.
Va infine ricordata un’ipotesi avanzata da Federico Zeri, secondo il quale l’autore del ciclo di Santa Monica sarebbe un artista di origine pesarese, attivo anche in area campana.
Pur nell’anonimato, questi affreschi rappresentano comunque un’importante testimonianza del momento di transizione dallo stile ornato e fastoso caro ai maestri tardo-gotici a quello più realistico e spazialmente coerente del primo rinascimento. La seducente grazia cortese di talune figure, con quelle che partecipano al “Banchetto di Erode”, si unisce alla severa impaginazione di altri episodi, come nel “San Giovanni a Patmos” o nella “Predica del Battista”, pervasi da un’atmosfera di grande concentrazione emotiva.
La parete di fondo dell’Oratorio, priva di affreschi, accoglie oggi un imponente Crocefisso in legno policromo, dalla plastica potente, risalente alla seconda metà del XV secolo.
Si può quindi affermare che gli affreschi dell’Oratorio di Santa Monica, insieme a quelli dell’attiguo tempio di S.Agostino, costituiscono per la città di Fermo un considerevole patrimonio di arte e di cultura e per i visitatori: un’occasione per meglio conoscere le bellezze artistiche del Piceno.