“Unwritten Structures” ha seguito due percorsi paralleli, uno in Europa Orientale (che è con varianti importanti quello che ora approda per la prima volta sul territorio italiano) e un altro in America Latina. Lo stretto legame tra queste due mostre sarà ancora una volta confermato il prossimo 15 luglio, con l’inaugurazione contemporanea della mostra di Fermo e della mostra presso lo spazio espositivo del Tribunale dello Stato di Quintana Roo a Cancún in Messico, con la presenza in videoconferenza dell’ambasciatore italiano a Città del Messico, Luigi De Chiara.
Intento principale del progetto internazionale era quello di contribuire al rafforzamento della percezione di molti aspetti del vivere quotidiano come “patrimonio culturale”. Aspetti non tangibili come le abilità e le tecniche del lavoro manuale e dell’artigianato tradizionale, l’oralità, la musica, il canto, la danza, le consuetudini sociali, le conoscenze, le pratiche e gli orizzonti ancora fondamentali nella vita quotidiana delle comunità, primo fra tutti il tempo del rito e della festa, e tutti i saperi che riguardano la natura, la preparazione dei cibi, la consapevolezza dell’ambiente e dell’universo. È, questo, il patrimonio immateriale, al quale l’UNESCO attraverso la Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale promulgata nel 2003, riconosce la capacità di favorire il dialogo interculturale, di valorizzare la creatività umana, di incoraggiare il rispetto dei diritti umani, dei diversi modi di essere e di sentire, diffondere e difendere la pace nel mondo.
Il concept di quel percorso espositivo proponeva una forma innovativa di valorizzazione e di salvaguardia del patrimonio immateriale, sperimentando codici multi-espressivi propri dell’arte contemporanea e dell’antropologia dialogica. Sono stati i giorni della festa e quelli della consuetudine a raccontare oltre confine le mille sfumature dell’espressività, della tradizione e della creatività degli Italiani attraverso la voce di oggetti, immagini e narrazioni visive orientate alla videoarte, in dialogo con le interpretazioni di tanti importanti artisti contemporanei ispirate alle strutture intangibili e non-scritte del nostro orizzonte culturale, all’interno di un percorso di senso, che componendosi e decomponendosi, come in un caleidoscopio, ha offerto una visione del nostro paese fuori dai canoni comuni, proponendo la memoria e la creatività artistica come chiavi d’accesso privilegiate all’affascinante galassia del patrimonio immateriale.
Nella mostra di Fermo,un ruolo ancor più evidente di quanto non sia accaduto nella mostra in Europa orientale viene assegnato all’antropologia visiva, i cui legami con il patrimonio culturale immateriale sono strettissimi, tanto che, fin dagli albori della documentaristica di carattere antropologico, i ricercatori hanno utilizzato, accanto alla fotografia, la ripresa filmata come strumento d’indagine a supporto della ricerca sul campo, trasformandola progressivamente in una forma di etnografia autonoma, che utilizza la scrittura come corredo dell’immagine. Oggi la documentazione audiovisiva di carattere antropologico si configura come il dispositivo di narrazione e auto-narrazione più utilizzato sia in ambito scientifico, che dalle comunità e dai singoli detentori di elementi del patrimonio immateriale che realizzano una importante produzione di materiali audio-visivi, amatoriali e non, molto spesso di notevole valore.
L’archivio di Antropologia Visiva dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, che conserva circa duemila documenti visivi realizzati – a partire dagli anni ‘40 del secolo scorso – da antropologi, documentaristi e cineasti attenti al mondo della tradizione, e opera anche come centro di produzione, negli ultimi anni ha avviato la sperimentazione di forme innovative di restituzione del patrimonio culturale immateriale, che si allontanano decisamente dal paradigma della cinematografia di tipo documentaristico, per approdare a forme più vicine ai codici comunicativi della video-arte. Il coinvolgimento di questa modalità narrativa, affidato allo sguardo non convenzionale sul patrimonio immateriale delle opere visive di Francesco De Melis, viene proposto nella mostra di Fermo dal gruppo di giovani creativi coordinati da Luca Ruzza, attraverso la costruzione di un’architettura visiva che mira all’“immersività” come esperienza di fruizione totale, e alla creazione di effetti visivi di grande impatto emotivo e comunicativo.
Tra i materiali video che vengono proposti per la prima volta in mostra a Fermo, sono alcuni documenti prodotti dell’ICPI nel 2020, l’anno del Covid, della quarantena e del distanziamento sociale. Tra i numerosi cambiamenti imprevisti ed epocali la missione dell’Istituto è stata molto coinvolta nella documentazione della sospensione delle espressioni festive della tradizione e il conseguente disorientamento delle comunità. Se le mostre dell’Istituto in corso all’estero hanno subito rallentamenti o si sono addirittura fermate, il lavoro di documentazione sui percorsi delle comunità festive è proseguito e ci ha portato ad approfondire la riflessione sull’antropologia visiva non solo come strumento di analisi critica del visibile, ma anche per il suo valore documentario o, più semplicemente ma non banalmente, per la sua funzione di raccogliere, conservare e riproporre momenti unici. In questa lunga attesa di ritorno alla normalità, è nata l’idea di realizzare performance virtuali nel cuore di quei luoghi che l’assenza della festa aveva privato del loro senso più profondo. Nell’anno del tempo sospeso prende così avvio la produzione di materiali filmici, realizzati da Francesco De Melis nel corso di varie ricerche sui contesti festivi e rituali italiani, in inediti esperimenti di video mapping “in absentia”. La Corsa dei Ceri di Gubbio, anzi, la sua assenza, è la prima sperimentazione: la nuda pietra della facciata del Palazzo dei Consoli si accende all’improvviso, in pieno lockdown, dei vividi ricordi della festa. La proiezione di Prodigio in slow motion, short film girato durante la corsa del 2018, si estende all’intera forma del palazzo. L’intera performance viene a sua volta filmata, da terra e in volo, allargando lo spazio filmico ad un fantasmatico percorso festivo nella città vuota, restituendo un incredibile documento visivo sull’assenza della festa. E questa documentazione dell’assenza diventa uno dei nuclei nuovi e originale della mostra di Fermo.
Ma, accanto alla sottolineatura del ruolo dell’antropologia visiva, intesa come forma di documentazione prossima alla videoarte, la mostra di Fermo, prosegue l’impostazione del progetto“Unwritten Structures. Racconti (in)visibili”, fondato sulll’idea di stimolare un dialogo interdisciplinare tra arte contemporanea e patrimonio culturale demoetnoantropologico e immateriale. Il messaggio forte, di cui l’arte contemporanea è portatrice, dialoga con le tematiche di ambito antropologico proposte in mostra: la nutrizione e le pratiche di elaborazione dei cibi, il gioco, la devozione, il tempo del rito e della festa, il rapporto con la natura.
Le opere degli artisti, che nel percorso espositivo destinato all’estero hanno interagito con oggetti etnografici di provenienza museale,a Fermo si confrontano simbolicamente con oggetti della tradizione popolare croata provenienti dal Museo di Vukovar, l’ultimo ad ospitare la mostra nel suo percorso europeo, che si presentano come testimoni del proficuo dialogo interculturale innescato dalla mostra all’estero, proponendo, a volte con materie e tecniche analoghe, nuove forme di creatività, e si confrontano con il racconto per suoni e immagini delle nostre tradizioni proposto nella sezione audiovisiva, riuscendo a darne un’interpretazione viva e attuale, in grado di colpire emotivamente lo spettatore.
Le opere d’arte contemporanea sono spesso caratterizzate da un tratto effimero, dalla negazione del duraturo. Queste creazioni destinate alla deperibilità, con la chiara intenzione che spariscano e si disgreghino nel tempo, si dispongono sul medesimo piano di molti elementi della nostra tradizione, prevedendo accanto a quello creativo, un momento fruitivo e distruttivo, come nella produzione di alcuni cibi tradizionali destinati ovviamente ad essere consumati, o nelle infiorate, tappeti floreali effimeri destinati a disfarsi al passaggio del corteo processionale, così come nelle tante strutture processionali, ciclicamente distrutte o utilizzate con la coscienza del loro possibile danneggiamento irreversibile.
Tutti gli artisti in mostra seguono lo stesso invisibile filo di una narrazione straordinaria, coesi nella loro ricerca di linguaggi e codici estetici capaci di conservare la nostra fragile e preziosa eredità culturale che, tra immaginario linguistico e coraggio iconografico, continua a essere trasmessa alle nuove generazioni nel comune obiettivo di costruire senza mai dimenticare.
Mostra realizzata da Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale
In collaborazione con Rete delle Grandi Macchine a Spalla Italiane Patrimonio UNESCO
Responsabile tecnico-scientifico progetti UNESCO Patrizia Nardi
Coordinamento scientifico Leandro Ventura, Stefania Baldinotti, Anna Sicurezza
Curatrici sezione contemporanea Dominique Lora, Micol Di Veroli
Curatrice sezione audiovisiva Stefania Baldinotti
Opere filmiche Francesco De Melis
Design, progettazione e allestimento OpenLab Company srl – Laura Colombo e Luca Ruzza
Sistema di controllo interattivo OCS srl – Gabriele Mantovani e Davide Lo Mundo
Light design e setup Quiet Ensemble srl – Fabio Di Salvo e Bernardo Vercelli
Organizzazione Glocal Project Consulting
Assistenza allestimento All.Com Servizi
Coordinati grafici Angelo Marinelli
Crew setup Riccardo Anderi, Zaccaria Barraco, Zeno Maria Ruzza
Video setup Natan Andrea Ruzza
Promozione e comunicazione Patrizia Giancotti
Informazioni
Info e prenotazioni 0734.217140. Mostra aperta dal martedì alla domenica ore 15-19
Organizzazione
Organizzazione Glocal Project Consulting
sito internet https://www.raccontinvisibili.com/